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Kafka a Teheran

[Āyehā-ye zamini]

 

RegiaAli AsgariAlireza Khatami
Sceneggiatura: Ali AsgariAlireza Khatami
Fotografia: Adib Sobhani
MontaggioEhsan Vaseghi
Interpreti: Ardeshir KazemiArghavan ShabaniBahman ArkFaezeh RadFarzin MohadesGouhar Kheir AndishHossein SoleymaniMajid SalehiSadaf AsgariServin Zabetiyan
Produzione: CynefilmsSeven Springs PicturesTaat FilmsTell Tall Tales
Origine: IranLussemburgo | 2023
Distribuzione: Academy Two
Durata: 77'
Ispirato alla poesia “Terrestrial Verses”, di Forugh Farrokhzad,

I Registi


Ali Asgari (Teheran, 25 luglio 1982), è molto noto nell’ambito cinematografico iraniano, si è aggiudicato oltre 200 riconoscimenti. Due dei suoi cortometraggi, More Than Two Hours (2013) e Il silenzio (2016), sono stati nominati per la Palma d’Oro al Festival di Cannes. The Baby è stato presentato al concorso per corti del Festival del Cinema di Venezia nel 2014. I film di Ali si focalizzano sulle vite precarie di individui che vivono ai margini della società nel suo Paese d’origine, l’Iran. Il suo film d’esordio, Disappearance, è stato realizzato presso la Cinéfondation Residency del Festival di Cannes ed è stato presentato al Festival Internazionale del Cinema di Venezia nel 2017. Until Tomorrow, il secondo lungometraggio di Asgari, è stato presentato alla Berlinale nel 2022. Ali è un membro della Academy of Motion Picture Arts and Sciences.


Alireza Kathami (Iran, 1980) è un premiato cineasta iraniano-americano di base in Canada. Le sue opere sono fortemente influenzate dalla ricca tradizione di cantastorie della tribù indigena Khamse, in Iran, all’interno della quale Alireza trova le sue origini. I suoi film investigano in modo toccante l’interconnessione fra memoria, trauma e dinamiche di potere, spesso attraverso una lente filosofica e con un umorismo nero. Ha collaborato con famosi cineasti come Asghar Farhadi. Il suo lungometraggio di esordio, Oblivion Verses, sviluppato presso la Cinéfondation Residency del Festival di Cannes, è stato presentato al Festival Cinematografico di Cannes, aggiudicandosi tre premi, fra cui il Premio Orizzonti per la Migliore sceneggiatura e il Premio FIPRESCI. Alireza è anche co-sceneggiatore di Until Tomorrow, che è stato proiettato per la prima volta alla Berlinale. Attualmente sta lavorando in Turchia ad un thriller psicologico che è un’opera di fiction autobiografica.

Sinossi
Nove episodi di vita quotidiana a Teheran, con cui i registi Ali Asgari e Alireza Khatami svelano coraggiosamente i nonsense di un sistema che controlla, sanziona, regola, ogni aspetto dell’esistenza dei cittadini. Si va da chi per lavorare deve conoscere perfettamente il Corano a chi ha perso il cane contravvenendo alla legge, da una bambina che per il primo giorno di scuola vorrebbe portare jeans e maglietta al regista che cerca di farsi approvare preventivamente un copione. Piccole storie comuni, raccontate con semplicità e non senza ironia, ma in cui ben si percepisce tutto il peso e la repressione del regime iraniano.

Produzione
Asgari e Khatami si sono conosciuti nel 2017 alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dov'erano gli unici due iraniani. Il film è nato dalla frustrazione di Khatami dopo che un progetto a cui aveva lavorato per anni era stato bloccato poco prima dell'inizio delle riprese dal Ministero della cultura e dell'orientamento islamico. Ispirandosi al genere classico "di dibattito" della poesia persiana, in una settimana ha scritto assieme ad Asgari una sceneggiatura che prendeva spunto da episodi accaduti a loro e a loro conoscenti. Non volendo aspettare un'altra autorizzazione da parte del governo, hanno cominciato a girare con mezzi propri già due settimane dopo la fine della stesura.
Le riprese si sono tenute per un primo blocco nel settembre 2022, poco prima dell'inizio delle proteste per la morte di Mahsa Amini, che hanno influenzato molto il secondo, girato tra il febbraio e il marzo del 2023. In tutto, il film è stato girato in sette giorni. Nonostante sia composto di soli 12 ininterrotti long take statici e parlati, i registi hanno dichiarato che non vi è stata improvvisazione da parte degli attori e che nulla è stato cambiato in fase di montaggio o di riprese rispetto alla scrittura.

Note di regia
In Kafka a Teheran esploriamo le dinamiche del potere nella società iraniana contemporanea, attingendo alle idee di Foucault sulla biopolitica e sul biopotere. Analizziamo il modo in cui i regimi totalitari controllano gli aspetti personali delle vite degli individui, come ad esempio i corpi, la sessualità e l’identità. Attraverso quadri viventi drammaticamente realistici, estremamente convenzionali e spesso ironici e paradossali, catturiamo l’impatto della biopolitica e del biopotere sui cittadini iraniani nell’ambito di un sistema che esercita un controllo totalitario. Questa regolamentazione pervasiva si insinua nella vite degli individui, sradicando gli spazi personali dove potrebbe nascere la resistenza. Sottolineiamo la manipolazione delle vite dei cittadini da parte dello stato, sollecitando lo spettatore a rendersi conto del prezzo che questo controllo ha sull’autonomia delle persone. Mettiamo a nudo i tentativi dei cittadini di ritagliarsi dei piccoli spazi privati di ribellione, a dispetto di un regime oppressivo. Kafka a Teheran ci consegna una cronaca di grande potenza emotiva sulla libertà individuale e sulla necessità di una sfera privata che incoraggi la resistenza. Esaminando queste tematiche, stimoliamo lo spettatore a riconoscere il potere nelle loro vite e li ispiriamo a conservare l’individualità e l’autonomia nonostante il controllo oppressivo dello stato. In ultima analisi, Kafka a Teheran rappresenta un’inchiesta cinematografica sulla biopolitica e sul biopotere, facendo luce sulla minaccia dei regimi totalitari e sull’imperatività di difendere la propria individualità e la libertà come aspetti di valore inestimabile per l’esistenza umana.

Qual è il messaggio che sperate venga recepito dal pubblico di Kafka a Teheran? A- Speriamo che gli spettatori guardino il film e si chiedano qual è la loro relazione con il potere. Ci auguriamo che il film spinga tutti noi a guardarci allo specchio e a farci delle domande.
(dal pressbook)

Cinema come finestra su una realtà disperata, in bilico tra il dramma e la farsa, tra il paradosso e il grottesco. Dodici storie di repressione unite da una scrittura tutta dialogica, sempre vibrante nei ritmi, e filmate da una (sola) camera fissa per dodici long takes. 
Tanto basta per mosaicare in
absentia un carotaggio esaustivo e caustico di una Teheran (di un Iran, di un qualsiasi popolo) supino a un Potere orwelliano. Un Grande Fratello suadente e fanatico che si manifesta come reclusione spaziale e mentale, integralismo, congelamento dell’identità, atrofizzazione del pensiero, rimozione della libertà. E poi esclusione, isolamento, inaridimento, tedio, morte. L’occidentalizzazione dei costumi è lo spettro da abbattere; omologazione, conformismo, proibizionismo i mezzi con cui farlo.
(Davide Maria Zazzini,Cinematografo)

I due registi hanno fatto un lavoro di resistenza civile che deve essere costato non poca fatica, espedienti e rischi e che non avrà spazio di visione in Iran. Perché questo è un cinema di denuncia sociale che, con grande semplicità di mezzi e con un approccio estremamente diretto alla realtà, sa comunicare con efficacia il proprio grido di ribellione molto più di altre opere formalmente elaborate ma distanti anni luce da una fruizione non intellettualisticamente di nicchia
(Giancarlo Zappoli, myMovies)

(Scheda a cura di Paolo Filauro)




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